LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI AREZZO - Sezione 1 Riunita con intervento dei signori: Greco Carlo, Presidente; Modena Marco, relatore; Fratini Massimo, giudice; Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 164/2019 depositato l'11 giugno 2019: avverso avviso di accertamento n. T8D01PF01465 - IRPEF - Add.Reg. 2013; avverso avviso di accertamento n. T8D01PF01465 - IRPEF - Add.Com. 2013; avverso avviso di accertamento n. T8D01PF01465 - IRPEF - Impr.Sem. 2013; avverso avviso di accertamento n. T8D01PF01465 - IVA - OP.Imponib. 2013; avverso avviso di accertamento n. T8D01PF01465 - IRAP 2013; contro Agenzia delle entrate - Direzione provinciale Arezzo - via Petrarca n. 52, proposto dal ricorrente: V. L. difeso da: Sorbi Chiara, via A. Sandrelli n. 4 - 52044 Cortona Arezzo. La Commissione Tributaria provinciale di Arezzo - Sez. Iª, composta dai seguenti Magistrati: dott. Carlo Greco, Presidente; dott. Massimo Fratini, Giudice; dott. Marco Modena, Giudice relatore. Visti gli atti del ricorso n. 164/2019, promosso da V. L., rappresentato e difeso dalla dott.ssa Chiara Sorbi, dottore commercialista con studio in Cortona, frazione Camucia, via A. Sandrelli contro l'Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Arezzo, in persona del direttore pro tempore; A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 22 febbraio 2021; Ritenuto che: 1. V. L. ha impugnato l'avviso di accertamento n. T8D01PF01465/2018 per l'anno 2013, in data 7 dicembre 2018, della Direzione provinciale di Arezzo - Ufficio controlli dell'Agenzia delle entrate, che, in applicazione dell'art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917/1986, ha attivato indagini finanziarie esaminando i rapporti bancari di cui e' titolare il predetto contribuente, e, avendo rilevato la presenza di versamenti non giustificati sui conti correnti riconducibili al medesimo per euro 167.588,65, e prelevamenti non giustificati per euro 117.958,35, ha accertato maggiori redditi ai fini delle imposte dirette (IRPEF e IRAP) per euro 285.547,00 (ossia pari alla somma dei due predetti importi), ed un maggior imponibile IVA per euro 167.588,65 (pari ai soli versamenti non giustificati). 2. Il ricorrente lamenta che l'Ufficio non abbia tenuto conto, se non in parte, delle giustificazioni offerte, e, laddove siano presenti movimenti rimasti privi di giustificazione, chiede al giudice di valutarne il significato in merito ai tempi, all'ammontare e al contesto complessivo, in particolare sottolineando, per quanto attiene al prelevamento di contanti, che il contribuente avrebbe avuto comunque «diritto a vivere e sostenere anche spese personali». 3. L'art 32, comma 1, n. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 prevede che i dati ed elementi acquisiti, tra l'altro, attraverso indagini bancarie, a) «sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine»; b) «alla stesse condizioni sono altresi' posti come ricavi [le successive parole «o compensi» sono venute meno a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014] a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreche' non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti e gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili». 4. In base alla consolidata e nettamente prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione, l'art. 32 crea una presunzione legale in favore dell'erario che puo' essere superata soltanto con prove rigorose, e non con presunzioni. Secondo Cassazione n. 2012/13035, «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, l'art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi ultimi sono registrati in contabilita' e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziche' costituire acquisizione di utili; posto che, in materia, sussiste inversione dell'onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un'altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, ne' e' possibile ricorrere all'equita'» (conf. n. 05/18016); secondo Cassazione n. 06/14675, «In tema di accertamento delle imposte sui redditi, e con riferimento all'acquisizione dei movimenti di un conto corrente bancario riconducibili ad un'attivita' d'impresa, debbono essere considerati ricavi sia le operazioni attive che quelle passive, senza che si debba procedere alla deduzione presuntiva di oneri e costi deducibili, essendo posto a carico del contribuente l'onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili» (conf. Cassazione n. 07/25365, n. 08/2821, n. 14/16869, n. 20/15161); secondo Cassazione 15/4829, «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall'art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (in virtu' della quale i prelevamenti ed i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell'esercizio dell'attivita' d'impresa), non e' sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell'affluire di somme sul proprio conto corrente, ma e' necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilita' di ogni singola movimentazione alle operazioni gia' evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell'estraneita' delle stesse alla sua attivita'. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto non congruo il volume degli affari e l'importo dei ricavi cosi' come ricalcolato dall'Ufficio, esclusivamente in ragione delle modeste dimensioni della societa' e nonostante fosse stata riscontrata anche la mancanza di documentazione contabile legittima)»; conseguentemente, secondo Cassazione n. 18/1040, «In tema di accertamenti bancari, poiche' il contribuente ha l'onere di superare la presunzione posta dagli articoli 32 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 e 51 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l'estraneita' di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito e' tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all'efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione» (conf. n. 20/13112, n. 14/26018, n. 10/18081, n. 08/22179). Soltanto tre decisioni della S.C., sulle numerosissime che si sono occupate dell'argomento, hanno ammesso che la presunzione legale posta dall'art. 32 possa essere vinta anche da presunzioni semplici, ma «sempre senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative» (Cass. 17/11102, 11/25502, 15/2781), e peraltro, tale apparente scostamento risulta sostanzialmente corrispondere a degli obiter dicta, dal momento che Cassazione 17/11102 rigetta comunque il ricorso del contribuente, mentre le altre due decisioni cassano le rispettive sentenze di merito (favorevoli al contribuente), accogliendo i ricorsi dell'amministrazione finanziaria. Inoltre, la prima delle tre decisioni da ultimo citate, ossia Cass n. 17/11102, richiama nella propria motivazione n. 06/14675 (e con essa n. 12/13035 e n. 14/20679) mostrando (non senza qualche contraddizione) di aderire alla tesi dell'indeducibilita' di oneri e costi presuntivi. Il «diritto vivente», pertanto, non consente di escludere i prelevamenti dal conto corrente dai presunti ricavi se non in base alla prova, rigorosa e rigorosamente motivata dal giudice di merito, che detti prelevamenti non rappresentino ricavi (prova, oltretutto, negativa). Non pare quindi trovare riscontro, almeno al momento attuale, quanto affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 2005, secondo la quale «l'assunto del remittente, relativo alla indeducibilita' delle componenti negative del maggior reddito d'impresa accertato in base alla norma impugnata ... risulta altresi' smentito dalla piu' recente giurisprudenza di legittimita', secondo cui, in caso di accertamento induttivo, si deve tener conto - in ossequio al principio di capacita' contributiva - non solo dei maggiori ricavi ma anche della incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall'ammontare dei prelievi non giustificati». 5. Si puo' dubitare e si e' dubitato, in passato, della legittimita' costituzionale di tale normativa, per quanto attiene ai prelevamenti, per contrasto con gli articoli 3 e 53 Cost., sia perche' l'ipotesi dei versamenti appare logicamente e contabilmente opposta a quella dei prelevamenti, rappresentando i primi un'entrata, e i secondi un'uscita, e quindi l'equiparazione comporta l'eguale trattamento di situazioni diseguali, sia perche' in tal modo finisce col sottoporre a tassazione un reddito inesistente (ossia quello corrispondente ai prelevamenti), in contrasto col principio di capacita' contributiva. Con la sentenza n. 225 del 2005, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata tale questione, «non essendo manifestamente arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati destinati all'esercizio dell'attivita' d'impresa e siano, quindi, in definitiva, detratti i relativi costi, considerati in termini di reddito imponibile». Con la successiva sentenza n. 228 del 2014 (come si e' anticipato nel riportare il testo della disposizione impugnata) la Corte costituzionale ha invece ritenuto fondata la questione limitatamente ai compensi dei professionisti, ai quali la disciplina era stata estesa in forza della legge n. 311 del 2004 (art. 1, comma 402, lettera a). Ha osservato la Corte in quest'ultima sentenza, rimeditando la questione, che «in assenza di giustificazione deve ritenersi che la somma prelevata sia stata utilizzata per l'acquisizione, non contabilizzata o non fatturata, di fattori produttivi e che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi venduti a loro volta senza essere contabilizzati o fatturati». Tale presunzione, che secondo quest'ultima decisione era stata ritenuta dalla precedente sentenza n. 225 del 2005 «congruente con il fisiologico andamento dell'attivita' imprenditoriale, il quale e' caratterizzato dalla necessita' di continui investimenti in beni e servizi in vista di futuri ricavi», era invece da ritenersi arbitraria se applicata al lavoratore autonomo (cui si riferiva il giudizio a quo), la cui attivita' «si caratterizza per la preminenza dell'apposto del lavoro proprio e la marginalita' dell'apparato organizzativo», anche tenuto conto dei sistemi di contabilita' semplificata di cui si avvale la categoria («assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuita' delle entrate e delle spese professionali e personali»), non senza considerare che l'esigenza di combattere l'evasione fiscale «trova una risposta nella recente produzione normativa sulla tracciabilita' dei movimenti finanziari». 6. La citata sentenza n. 228 era vincolata, per i termini in cui l'ordinanza di rimessione aveva delimitato la questione, ad esaminare soltanto l'estensione ai lavoratori autonomi del regime di accertamento previsto per le imprese, non potendo estendere a queste ultime la declaratoria di incostituzionalita', e dovendo pertanto recepire come un dato acquisito la ratio della disposizione impugnata come ricostruita dalla precedente sentenza del 2005. Tuttavia, da un lato la questione puo' essere riproposta in termini piu' ampi sotto nuovi profili, dall'altro paiono sussistere profili specifici che potrebbero estendere anche al caso di specie (imprenditore individuale soggetto a contabilita' semplificata) la decisione emessa nei confronti dei lavoratori autonomi. In primo luogo, si osserva che la ratio della presunzione posta dall'art. 32 n. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, per quanto concerne i prelevamenti, cosi come ricostruita dalla citata giurisprudenza costituzionale, non risulta persuasiva. L'art. 32 prevede che, esperito nei casi consentiti dalla legge l'accesso ai dati bancari, anzitutto i versamenti non giustificati, ossia che non trovano una corrispondenza nella contabilita', siano presunti corrispondere a ricavi. Nessuno puo' dubitare della ragionevolezza di tale presunzione. Tuttavia, la stessa presunzione viene applicata anche ai prelevamenti, cioe' ad un'operazione di segno contabile opposto. Orbene, secondo un comune criterio di ragionevolezza, laddove, come nel caso di specie, vi siano sia versamenti che prelevamenti ingiustificati, si potrebbe inferire che il contribuente abbia coi primi acquisito ricavi, e coi secondi sostenuto o costi aziendali, ma in modo contabilmente irregolare, oppure spese personali; onde il reddito da sottoporre a tassazione, nella prima ipotesi, dovrebbe essere pari alla differenza tra i due importi (nel caso di specie, quindi, ad euro 49.630,30), e nella seconda ai soli versamenti (nel caso di specie euro 167.588,65). Ma l'impossibilita' di dedurre costi non giustificati e non rigorosamente provati, e la possibilita' che si tratti non di costi aziendali ma di spese personali, impedisce di fatto la prima soluzione, sicche' i ricavi accertati verranno interamente equiparati a reddito, e assoggettati a tassazione (nel caso di specie, per l'ultimo degli importi sopra indicati). E gia' questa potrebbe risultare una conseguenza vessatoria per il contribuente, che egli tuttavia potrebbe imputare sibi, ossia alla propria infedelta' fiscale. Tuttavia, non ci si ferma qui, perche' non soltanto le uscite (ossia i possibili pagamenti in nero) non possono essere dedotti dai ricavi, ma esse addirittura, contrariamente ad ogni logica contabile e aritmetica, vengono sommate (non algebricamente, ossia una posta con segno «piu'», e una con segno «meno», ma entrambe con lo stesso segno «piu'») alle entrate (in nero e non), facendole moltiplicare oltre ogni ragionevole aderenza alla realta' (nel caso di specie sottoponendo il contribuente ad un accertamento per euro 285.547,00). La «doppia correlazione» che starebbe alla base della presunzione legale che regola il meccanismo di accertamento non pare rispondere a criteri di ragionevolezza, perche': a) in assenza di giustificazione, l'uscita dal conto (ossia il prelevamento) puo' astrattamente attribuirsi altrettanto ragionevolmente a costi d'impresa quanto a spese personali, specie di fronte a piccoli imprenditori individuali, come e' nel caso di specie; b) l'acquisizione di fattori produttivi, in ogni caso, avra' in ipotesi prodotto entrate che o sono state contabilizzate, e quindi dichiarate, oppure, in caso contrario, sono gia' state considerate nell'accertamento in forza dei versamenti ingiustificati: sommarvi i prelevamenti significa duplicare la posta. D'altra parte, come si e' visto al punto 4, non e' possibile dedurre dai ricavi cosi' accertati, contrariamente a quanto ipotizzato da Corte costituzionale n. 225 del 2005, alcun costo presuntivo, impedendolo il diritto vivente rappresentato dalla giurisprudenza della S.C. Infine, non e' assolutamente ragionevole pensare che un qualsiasi acquisto di fattori produttivi generi, nello stesso anno d'imposta, un reddito (poiche' in questo contesto, come si e' visto, la presunzione di ricavo equivale a presunzione di reddito) di pari importo alla somma spesa. Del resto, che sia illogico ipotizzare ricavi non dichiarati per un importo pari a quello dei prelevamenti trae indiretta conferma anche dal fatto che, ai fini IVA, la stessa Amministrazione finanziaria ha accertato un maggior imponibile soltanto per l'importo di euro 167.588,65, pari ai soli versamenti. 7. In ogni caso, «non sussiste incertezza del petitum - e la questione di legittimita' costituzionale deve ritenersi ammissibile - nel caso in cui l'ordinanza di rimessione non prospetti piu' soluzioni alternative, ma doglianze contenutisticamente e cronologicamente diverse, in guisa che l'una risulti proposta in via principale e l'altra in via subordinata» (Corte cost., sentenza n. 469/1988); e ancora: - la denuncia di illegittimita' costituzionale articolata in quesiti plurimi e' inammissibile quando tra di essi esista un legame irrisolto di alternativita', mentre e' ammissibile in presenza di un collegamento di subordinazione logica, il quale permette, in caso di rigetto della questione che precede, la delibazione di quella subordinata» (Corte cost. sentenza n. 188/1995). In questa ottica, e' prospettabile una questione subordinata a quella fin qui illustrata, ossia la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32 citato nella parte in cui si applica agli imprenditori individuali ammessi alla contabilita' semplificata (il V. non supererebbe i. limiti di ricavi di cui all'art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 neppure se l'accertamento impugnato venisse ritenuto legittimo; infatti il totale del valore della produzione viene accertato ai fini IRAP in euro 299.630 pag. 16 del verbale di accertamento - e il volume d'affari IVA viene accertato in euro 320,585 pag. 17) per i quali, come gia' ha ritenuto la Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 228 del 2014, in relazione ai lavoratori autonomi, si puo' ritenere marginale l'apparato organizzativo, e per i quali sussiste quella medesima «fisiologica promiscuita' delle entrate e delle spese professionali e personali»; cosicche' risulterebbe incostituzionale, per irragionevolezza della presunzione, applicare alla fattispecie la disciplina normativa de qua, una volta ammessane in ipotesi la legittimita' costituzionale in via generale. Anche in questo caso varrebbero infine le considerazioni svolte nella sentenza da ultimo richiamata, circa l'impossibilita' di giustificare la norma con l'esigenza di combattere l'evasione fiscale, dato che questa trova sempre di piu' «una risposta nelle recente produzione normativa sulla tracciabilita' dei movimenti finanziari». 8. Posto che, una volta accolta la questione di legittimita' costituzionale - o quella proposta in via principale, o quella proposta in via subordinata - il ricorso del V. dovrebbe trovare almeno parziale accoglimento, dovendosi in tal caso escludere dall'accertamento impugnato gli importi pari ai prelevamenti, mentre in caso contrario tale esito non sarebbe prospettabile, e' evidente la rilevanza delle questioni sollevate.